Per gli austriaci è arrivato il momento di raccogliere quanto seminato in questi due anni difficili, facendo uscire insieme i tre mini album che hanno seguito l’uscita dell’eccellente ‘The Sun And The Cold’. Dopo un esordio del genere non era affatto facile ripetersi, ma in tutta sincerità non mi aspettavo nemmeno un appiattimento stilistico di questo tipo. Scorrendo pezzi come ‘The Awakening’, ‘Skin’ e ‘Home’ si capisce quanto siano bravi dal punto di vista tecnico gli Oceans e per questo sale ancora più la rabbia. Esattamente come il primo album li vedeva sperimentare tra nu metal e post hardcore, la loro versione attuale è un miscuglio senza alcun senso, troppo forzato negli arrangiamenti che si rivelano un copia e incolla infinito delle icone che tutti conosciamo, ma soprattutto insufficiente in termini di energia e incisività. Sembra che il gruppo voglia seguire un po’ il mercato tedesco e un po’ quello americano, non riuscendo però più a distinguersi per la personalità necessaria al fine di ritagliarsi uno spazio importante nelle gerarchie dell’alternative metal internazionale. So quanto sia capace Timo Rotten, con cui ho parlato tante volte di Korn visto che abbiamo questa passione in comune, però mi auguro che l’insicurezza che emerge ascoltando ‘Hell Is Where The Heart Is’ svanisca del tutto in vista del terzo full lenght. Peraltro non credo che il piano commerciale di fare uscire prima i tre EP e poi l’album intero abbia funzionato troppo, in questo caso non totalmente per colpa loro visto cosa è successo negli ultimi tempi, quindi meglio concentrarci su altro e resettare.