Secondo full lenght per il quartetto tedesco - da non confondere con gli ex Flash Terrorist autori di ‘The Gloomy Side Of Things’ - che fonde un punk n’ roll tirato con influenze black e speed metal. Un ibrido decisamente live oriented che è cresciuto rispetto a due anni fa. È sufficiente ascoltare la title track per rendersi conto che sia produzione che songwriting hanno compiuto dei passi in avanti rendendo il sound un po’ meno derivativo, anche se alcune citazioni sono facili da individuare. Una delle più grandi qualità di ‘Haven Into Dust’ è infatti la capacità di proporre retaggi tipici di formazioni disparate senza per questo annoiare mai. Un po’ come al cinema, magari alla proiezione di una pellicola horror italiana, sullo schermo scorrono Misfits, Mercyful Fate, Black Flag, Helloween, Blind Guardian, Accept e così via. Addirittura, non chiedetemi perché, ‘With Torches They March’ mi ha subito fatto pensare ad un mix tra i Bathory ed i Manowar di ‘The Crown And The Ring’. ‘Night Vision’ e ‘Black Oath And Spells’ dimostrano che il gruppo potrebbe scrivere pezzi hard rock puliti e orecchiabili, ma l’obiettivo è tutt’altro ovvero sporcare il più possibile e fare emergere un’attitudine grezza e senza compromessi. In tal senso il guitar work di Laz Cultro guarda tanto agli anni ottanta quanto al decennio successivo in cui il metal estremo ha preso potere e si è fatto notare tra gli appassionati. In attesa di capire se i Knife sapranno inserirsi in un tour importante, ‘Heaven Into Dust’ potrebbe raccogliere consensi anche fuori dai propri confini. Anzi, per certi versi un disco di questo tipo avrebbe sulla carta maggiore mercato oltreoceano (Toxic Holocaust, Midnight..). ‘A Phantom Devised’ e ‘No Gods In The Dark’ sono gli apici di una seconda parte in cui la carica ossessiva di Vince Nihil scema un po’ e viene fuori la potenza della sezione ritmica. Dietro le pelli c’è Ferli Thielmann, che i più bravi di voi ricorderanno con Milking The Goatmachine e Demonbreed, e si sente eccome.