La trilogia degli svedesi si conclude con un album che di fatto riassume quanto espresso con i primi due capitoli puntando forte su undici brani parecchio eterogenei e costruiti in maniera da mettere in evidenza tutte le qualità di una formazione che poggia sempre sull’accoppiata formata da Christofer Johnsson e Thomas Vikström. Negli otto minuti di ‘Ayahuasca’ si celano tutti gli elementi compositivi che hanno reso leggendari gli autori di ‘Theli’ e ‘Vovin’ ovvero riff di natura rock n’ roll, melodie avvolgenti, arrangiamenti sinfonici in grado di esprimere una forte teatralità, influenze progressive e heavy metal anni ‘70 ma soprattutto una serie di intrecci vocali in grado di non annoiare mai. Rispetto al secondo volume, che mi aveva annoiato tantissimo e sinceramente mi era parso più un modo di rimanere attivi sulla scena con qualche b-side buttata lì, le dinamiche sono più intriganti e l’ascolto appare molto più scorrevole, tra soluzioni epiche in linea con il materiale di ‘Beloved Antichrist’ ed altre più commerciali e pensate per la dimensione dal vivo (‘Ruler Of Tamag’ e ‘Maleficium’). Gli appassionati di neoclassical, power metal e hard rock troveranno spunti interessanti anche se non credo che i tre episodi di ‘Leviathan’ riusciranno mai ad essere considerati alla stregua dei capolavori di un tempo. Sami Karppinen, anche con gli Opeth dal vivo, è autore di un’eccellente prova e Lori Lewis – tre anni fa l’etichetta del leader ha dato alle stampe il suo esordio solista ‘Carmina Romanus’ - viene ancora una volta utilizzata per accrescere il pathos prima dell’esplosione dei ritornelli.