Negli ultimi mesi ho ascoltato a fondo due dischi deathcore che ancora non mi hanno annoiato. Il primo è ‘The Nothing That Is’, ritorno apocalittico dei Fit For An Autopsy di Will Putney, che si è concesso anche per una bella intervista, e il secondo è l’esordio su lunga distanza dei canadesi, che in passato si erano già distinti per la pubblicazione di un paio di EP di valore. Ogni traccia in scaletta icarna uno dei nova peccati infernali e si addentra nelle oscure narrazioni di figure eretiche incappucciate, mescolando riff feroci, batteria aggressiva e voci che spaziano da urla acute a bassi che ringhiano. Soprattutto, ogni canzone contiene almeno un assolo e questo avvicina ‘Acolythus’ ai visionari dischi degli Humanity’s Last Breath o dei Vildhjarta. La brutalità è la medesima ma, se in quel caso la componente progressive metal è preponderante, nello specifico pezzi come ‘Seven Wraiths’ e ‘Despicable Existence’ fondono influenze scandinave (un pizzico di swedish death e tanto amore per le orchestrazioni malsane dei Dimmu Borgir) e statunitensi (The Black Dahlia Murder, Suffocation…). ‘The Ophidian Offspring’ e ‘Into A Coalescent Damnation’sono tecnicissime ma mai ridodanti o finte, anche grazie alla produzione del chitarrista Joe Moon che è stato affiancato dal guru Christian Donaldson (Cyrptopsy) e quando ‘Son Of Dawn’ sfuma nel silenzio è il momento di riavvolgere il nastro e ripartire con l’headbanging a manetta.