Ho avuto la fortuna di vedere dal vivo i Múr quando ancora nessuno li conosceva. Tra loro ci sono membri dei Forsmán e dei Blóðmör, due band sottovalutate della scena estrema islandese. I primi, dediti ad un black piuttosto efferato, hanno pubblicato il mini album ‘Dönsum í logans ljóma’ tre anni fa mentre i secondi, più heavy e punk, hanno all’attivo lo spettacolare dieci pollici ‘Líkþorn’, per cui li intervistai in un piccolo pub della capitale, e il debutto su lunga distanza ‘Í Skjóli Syndanna’. Quando mi sono trovato a pochi metri dal palco dei Múr, in occasione di Iceland Airwaves (quest’anno le off-venues sono tornate in numero consistente e la sensazione è che il festival potrebbe tornare alle vette che ci ha regalato in passato), non c’era tantissima gente. Qualcosa come cinquanta-sessanta persone, ma accanto a me erano tutte facce note. Si notava fin da allora grande interesse attorno a questa creatura capace di fondere, sotto l’etichetta post-metal, influenze post-rock, atmospheric black, thrash e progressive metal. Ricordo che rimasi a bocca aperta, non tanto per la bravura tecnica dei musicisti quanto per la loro attitudine che era già quella di una band al terzo o quarto disco. Negli anni scorsi mi sono stupito che il loro debutto discografico non venisse alla luce, tanta era la carne al fuoco e l’attenzione nei loro confronti (vi assicuro, non solo della scena metal). Non mi sono invece affatto stupito quando ho letto che l’avrebbe pubblicato Century Media. I Múr partono subito dal livello più alto e la loro visione apocalittica è il riflesso di tanti elementi differenti che collimano in un suono compatto e viscerale. Qualcuno dirà che assomigliano ai primi Cult Of Luna, altri verranno colpiti dalle influenze jazz e cinematiche nella loro musica o dalle ritimiche tra Meshuggah e Gojira, altri ancora troveranno degli agganci alle divagazioni nell’oscurità del buon Ihsahn degli Emperor. La realtà è che i Múr, come buona parte dei gruppi islandesi, sono inclassificabili. Le loro canzoni, mixate da Haukur Hannes (Auðn, Dynfari), mandano fuori di testa, attraggono, respingono, spingono a ricercare altra musica e fanno sentire un po’ più vicini a quelle terre amene in cui sono state composte. Il largo uso di sintetizzatori li caratterizzano senza dubbio e pezzi come ‘Heimsslit’ e ‘Holskefla’, non a caso posti in chiusura, danno la sensazione che il loro viaggio sia solamente all’inizio. Pure ‘Eldhaf’ e ‘Vitrum’ superano i nove minuti di durata, ma i Múr sanno anche essere essenziali e lo dimostrano con ‘Frelsari’ e ‘Messa’, letali e perfette per essere incluse nelle playlist che vanno tanto di moda oggi. Magari sarà così che qualcuno li scoprirà. Altri forse si fideranno delle mie parole o di quelle di qualche collega. Il consiglio è di non farvi sfuggire il vinile, perché dal suo ascolto si percepiscono ancora di più le doti dei ragazzi.