La novità non musicale (anche se di riflesso potrebbe esserlo…) più rilevante, nel momento in cui si prende in mano il nuovo disco dei Dismember e si osserva la line up della formazione, è quella inerente la mancanza di Fred Estby, che dopo quasi vent’anni di militanza ha lasciato il gruppo, non potendo più garantire un impegno a tempo pieno per i tour e volendo dedicare più tempo alla famiglia. Il che, al di là delle considerazioni circa la bravura del personaggio in questione, potrebbe far pensare a una crepa nel muro (di suono) da sempre edificato dalla storica band svedese, mentre così non è affatto e l’ascolto del lavoro omonimo (la scelta del titolo è già indicativa di una rivendicazione di orgogliosa personalità) lo dimostra inequivocabilmente. I Dismember hanno scelto di unificare il death metal di matrice scandinava, che hanno contribuito a definire, a far crescere e a tramandare (nella sua veste tradizionale e senza abbracciare la svolta melodica e accomodante, che da quelle parti, e non solo…, è tanto in voga), con le forme più ferali del thrash da un lato e con un feroce death’n’roll dall’altro. Non credo sia casuale che all’interno delle undici tracce si facciano largo tanto un feeling devastante di derivazione Slayer quanto un sound catramato alla Motörhead imbufaliti, che trasformano l’album in un calderone infernale, nel quale il ribollire delle note va di pari passo con sequenze micidiali di riff e progressioni strumentali impressionanti. La prosecuzione della stirpe maledetta è garantita.