Esiste un passaggio che prima o poi tutti i musicisti attraversano, adesso deve essere giunto il turno degli Opeth. Il disco che per orientamento stilistico, attitudine progressiva e libertà d’espressione riesce a riassumere l’intera carriera, nella fattispecie del tutto eccezionale, di una band già predisposta geneticamente alla contaminazione dei generi ed all’abbattimento delle barriere stilistiche. ‘Watershed’ è la cerimonia degli opposti, non a caso celebrata dopo la pubblicazione di un live album, con cui la creatura di Mikael Åkerfeldt stila un esaltante bilancio tra il doom/death melodicamente dilatato degli esordi e la rutilante evoluzione progressive impressa dal genio incommensurabile di Steven Wilson. Dopo ripetuti ascolti, l’opera può collocarsi tra le strutture stratificate ma stilisticamente coerenti di ‘Still Life’ e l’onirico incanto acustico di ‘Damnation’, finendo per assimilare qualsiasi sfumatura artistica compresa tra questi estremi, senza peraltro escludere alcuna variazione sul tema. Al contrario di molti altri episodi discografici del gruppo svedese, l’atmosfera che aleggia lungo i 55 minuti di durata non è necessariamente uniforme, e di conseguenza non costituisce una pregiudiziale al godimento dei singoli brani, che anzi spesso brillano di luce propria al di fuori dell’album nel suo contesto generale. E’ il caso del primo singolo ‘Porcelain Heart’, cangiante fino ai limiti dell’imprevedibilità, della violentissima ‘Heir Apparent’, una scheggia death metal come gli Opeth non proponevano da tempo immemore, e soprattutto della commovente ‘Burden’, magnifica ballata d’indiscutibile derivazione Seventies che ripiega con delicatezza la malinconia tra organi hammond, chitarre soliste in piena dipendenza chimica dai Pink Floyd ed un Åkerfeldt definitivamente consacrato nel ruolo di cantante melodico. Gli ultimi residui di leziosità e gusto accademico, che non a torto sono stati spesso rimarcati dalla sparuta schiera di detrattori, si sono infine disciolti come neve al sole, riconsegnando nelle mani dei fans estasiati l’intima essenza di una band semplicemente indispensabile nel panorama metal odierno. Disco dell’anno? Aggiorniamoci tra qualche mese..
1995 Orchid 1996 Morningrise 1998 My Arms, Your Hearse 1999 Still Life 2001 Blackwater Park 2002 Deliverance 2003 Damnation 2005 Ghost Reveries 2008 Watershed 2011 Heritage 2014 Pale Communion 2016 Sorceress 2019 In Cauda Venenum 2024 The Last Will and Testament