Ascolto quest?album da diverse settimane e, per quanto possa arrovellarmi nella più pignola analisi critica, riesco ad attribuirgli un unico, madornale difetto ovvero consiste in appena cinque tracce e dura poco meno di quarantacinque minuti. In altre parole, dai Riverside avremmo potuto pretendere solo uno sforzo maggiore sotto l?aspetto quantitativo, perché in ambito prog metal nessuno saprà ottenere risultati qualitativamente migliori quest?anno. Nemmeno i Dream Theater, potete scommetterci. In effetti, la quarta prova discografica del quartetto polacco stupirà anche i più accesi sostenitori della band, tanta è l?evoluzione stilistica sviluppata in un arco temporale relativamente breve, che senza dubbio paga un altissimo tributo all?esperienza solista di Mariusz Duda nel progetto Lunatic Soul. Ed è proprio l?indiscusso leader del gruppo ad accendere per primo la fantasia dell?ascoltatore, grazie ad una crescita impressionante che colloca la sua voce in un immaginario crocevia tra la struggente passionalità di Vincent Cavanagh (Anathema) e l?algida disillusione di Jonas Renske (Katatonia). Dietro la sua guida, l?assoluta perizia strumentale del resto della band asseconda una virata ancora più decisa verso lidi malinconicamente oscuri, citando con molta disinvoltura ed un pizzico d?incoscienza Porcupine Tree, Tool, Pain Of Salvation e di conseguenza gli spunti compositivi di Pink Floyd, Rush e Marillion che meglio sono stati sdoganati nel terzo millennio. Anche partendo da un livello medio altissimo, spicca il singolo episodio di ?Egoist Hedonist?, un brano obiettivamente devastante per le deboli velleità di chiunque si azzardi a cimentarsi nel genere. Con ?Anno Domini High Definition? i Riverside giungono in prossimità del traguardo chiamato capolavoro, che probabilmente riusciranno a tagliare solo quando il serbatoio di un cd sarà riempito fino all?orlo.