Immagino che per certi versi la Trisol stia stretta a Jerome Reuter. C'è anche da dire che grazie all'etichetta tedesca il cantautore lussemburghese ha potuto confrontarsi con un pubblico diverso e “uscire” in un certo senso dal circuito neo folk. Devo ammettere però che non mi piace troppo come sono stati promossi gli ultimi suoi dischi e l'immagine che si è cercato di affibbiare ad un personaggio che, partendo dal folk apocalittico e dall'industrial esoterico, ha saputo crearsi uno status di culto nel settore. Leggere sadcore nella press sheet è aberrante ma ciò non toglie che 'The Hyperion Machine' sia l'ennessimo gioiello in una discografia che ha pochi eguali. Dopo l'antologia Jerome Reuter si è aperto al gothic blues ed al percorso artistico di Nick Cave come non aveva mai fatto in precedenza. Ci sono sempre retaggi di coldwave e neo folk nella sua proposta ma sono filtrati con cerimoniali solenni e arrangiamenti di ampio respiro. Le strutture marziali hanno un peso specifico minore nell'economia sonora del disco mentre le liriche citano spesso e volentieri Friedrich Hölderlin come nell'opera omnia 'Die Æsthetik Der Herrschaftsfreiheit' e in 'Masse Mensch Material'. Le meravigliose 'Celine In Jerusalem', 'Stillwell' - che vede la partecipazione di Thåström – e 'The Secret Germany' faranno sobbalzare i vecchi appassionati dell'artista allorchè 'Transference' e 'Skirmishes For Diotima' sono il segnale di un'ulteriore apertura, decidete voi se al desert rock o alla post industrial wave, dell'autore di 'Nera' e 'Confessions D'Un Voleur D'Ames'. Ai tempi della Cold Meat Industry non ci saremmo certo attesi niente del genere.