Il successore di ‘City Of The Sun’ inizia con cori ritualistici e una fitta oscurità tanto da far credere di essere al cospetto di una formazione devota alla maestade dei Ghost. Poi Stian Økland comincia a declamare i suoi testi e ci troviamo al cospetto di un timbro grave che potrebbe ricordare quello di Jim Morrison e anche Nick Cave. Verrebbe da pensare di trovarsi in ambito dark blues quindi ma nemmeno il tempo di riflettere e arrivano solenni il sax di Benjamin Mekki Widerøe e le tastiere di Håkon Vinje a spingerci in territori fusion. Ok, i Seven Impale sono una band jazz che guarda al classic rock come forma di ribellione o distinzione dalla concorrenza. Convinti di ciò, godiamo della conclusione stratosferica di ‘Lemma’ e venivamo travolti dall’inizio orchestrale e quasi operistico di ‘Heresy’ che col passare dei minuti si trasforma in un ghirigoro di chitarre, basso e batteria che sarebbe piaciuto tanto a Frank Zappa. A confondervi ancora di più le idee, non fosse abbastanza la copertina di Costin Chioreanu, preciso che i Seven Impale sono di Bergen e registrano i loro pezzi sotto la supervisione di Iver Sandøy (Enslaved, Krakow) e che nel titolo si rifanno al contra e patior ovvero al criterio secondo il quale un peccatore viene punito con una pena analoga o contraria ma pur sempre proporzionata alla pena commessa. Citazioni dei gironi infernali a parte, ‘Contrapasso’ è strutturato come un disco prog, prende in prestito elementi dalle discografie di Jaga Jazzist, King Crimson e Rush e può godere di un estro incredibile da parte dei musicisti coinvolti oltre che di poliritmiche che potreste sentire sui lavori di Meshuggah e Tool. ‘Ascension’ è quasi ambient mentre ‘Helix’, nove minuti di pura poesia, si rivela l’apice assoluto di un modus operandi che potrebbe catturare l’attenzione di fasce di pubblico dall’estrazione differente.