Quando ho ascoltato le prime due tracce di 'Mirrors' ammetto di aver pensato immediatamente ai Crisis e non perché i Pupil Slicer suonino la stessa cosa o perché Katie Davies assomigli per forza a Karyn Crisis. Il motivo è che allora, a metà degli anni '90 quando il metal stava per cambiare profondamente, i Crisis erano la più pura espressione di violenza in musica nella quale ci si potesse imbattere e quella cantante con i rasta e lo sguardo letale era una furia. Adesso, in tempi di emergenza sanitaria e servizi streaming, i Pupil Slicer sono la più pura espressione di violenza in musica nella quale ci si possa imbattere e la loro leader è una furia. Un'analisi superficiale potrebbe far pensare che l'interesse di Prosthetic Records – di recente nei negozi anche con l'ottimo secondo disco dei Wolf King - nei confronti degli inglesi sia dovuto principalmente alle sue fattezze. Certo non è così comune trovare una ragazza alla guida di un gruppo in bilico tra death, grind e mathcore, ma la scena anglosassone sta proponendo più di una figura femminile di valore in ambito estremo. É sufficiente pensare a Larissa Stupar dei Venom Prison o Justine Jones degli Employed To Serve ma l'elenco potrebbe essere più lungo di quanto immaginate. L'approccio dei londinesi, la cui line-up è completata dal bassista Luke Fabian e dal drummer Josh Andrews, è caotico e col passare degli ascolti le sfumature diventano sempre più evidenti e corrosive, ma soprattutto si fatica a non essere trascinati nel fango dalle bordate del trio. Per schiantare la concorrenza il trio ha prima rifinito il proprio sound con Pedram Valiani (Sectioned, Fawn Limbs), poi anticipato l'uscita del debutto con un singolo in collaborazione con Carson Pace dei Callous Daoboys ('L'Appel Du Vide') e infine immesso sul mercato un album che traduce in energia e impatto sonoro la schizofrenia e la frenesia dei nostri giorni. Ogni pezzo potrebbe essere preso ad esempio per quello che dico. 'Martyrs' e 'Stabbing Spiders' servono per acclimatarsi in un ambiente claustrofobico dove gli spigoli si trovano ovunque mentre 'Husk' e 'Wounds Upon My Skin' trasmettono la sensazione, più di tutte le altre tracce, che il progetto sia ancora in fase di mutazione e possa diventare qualcosa di davvero spaventoso. 'Interlocutor', ottanta secondi di follia sonora accompagnati da un crudo video sul suicidio, mostra al meglio il loro potenziale e Katie lo descrive come “un treno musicale che deraglia dai binari, in continua evoluzione verso una direzione. Il testo narra di una lotta interna, tra la voce della ragione e dell'amore per la vita ed un'immagine speculare e contorta di depressione, che schiaccia e provoca disgusto.” Una band nata per gioco che parla di sanità mentale e disagio sociale e ha finito per misurarsi con sempre maggiore convinzione con formazioni del calibro di Converge, The Dillinger Escape Plan e Nails e, dopo aver pubblicato l'omonimo EP e perso per strada il cantante Jobine “Thomas” Falcone, ha iniziato a concepire specchi più divertenti dei programmi televisivi.