Ascolto questo disco da diverse settimane e sinceramente non ho ancora capito cosa abbia in mente Daniel Gildenlöw. Il desiderio di misurarsi su nuovi territori musicali e giocarsi le proprie carte commerciali ha probabilmente accecato il leader degli svedesi incapace di dare un"identità precisa alla band e allo stesso tempo selezionare le canzoni giuste tra quelle composte in questi ultimi due anni. E" chiaro che i Pain Of Salvation guardano al prog rock come nuovo manifesto di derivazione ma in quanto a lucidità nel sapere modellare qualsiasi, e sottolineo qualsiasi, influenza siamo ben lontani dall"eccellenza. La prima parte di "Road Salt One" segue il difficile percorso intrapreso con "Linoleum" e di fatto allontana il gruppo dal metal immolandosi su ritmiche scialbe, atmosfere psichedeliche e continui riferimenti agli anni settanta che evidentemente hanno segnato in maniera indelebile la crescita dei musicisti in questione. Le chitarre sono quasi irriconoscibili, svilite nella loro essenza e in una struttura che è andata perduta col passare del tempo mentre le tastiere hanno assunto un peso decisivo in un contesto mutato dalle fondamenta. La speranza è che la seconda parte risulti più interessante o comunque che questa urgenza espressiva, che al momento non trova sbocco in un songwriting di spessore, possa portare a risultati solari anche dal punto di vista qualitativo.