Chi aveva apprezzato il debutto del pianista italiano d'adozione berlinese perderà la testa per questa dozzina di canzoni. 'The Blue Hour' è però un album che rischia di aprire uno spettro di riferimento molto più ampio ad un poeta che ha scelto i tasti bianchi e neri invece le corde di una chitarra o le bacchette di una batteria per esprimersi. Il passaggio dalla Denovali alla Neue Meister/Berlin Classics va letto nell'ottica di una consacrazione in ambiente classico – e per un ambiente rigido come quello tedesco non è affatto poco – ma è nelle contaminazioni con l'elettronica che il suo talento compositivo esplode letteralmente. Non solo Federico Albanese si pone al fianco di artisti spaventosi come Nils Frahm, Ólafur Arnalds Arnalds e Giovanni Guidi ma dimostra di possedere un linguaggio tale da potere raggiungere chiunque. Rispetto a 'The Houseboat And The Moon' i suoni sono più curati e coraggiosi, organici, splendenti e mai arfiticiosi. Il mixaggio è superbo e mette in rilievo anche la più insignificante delle sfumature quasi fosse il passaggio chiave per entrare in un'altra dimensione. Il romanticismo di certi momenti, la fragilità di altri, il desiderio di descrivere paesaggi che non sono solo reali e davanti agli occhi ma dentro l'animo. L'arrangiamento di 'Migrants' vale da solo l'acquisto dell'opera in cui spiccano anche 'Shadow Land', 'Silent Fall' e 'And We Follow The Night'. Parlare di singoli titoli è però limitativo perché 'The Blue Hour' è un sentiero che va percorso in tutta la sua interezza per potere godere di ciascuna variazione ambientale. Un flusso di coscienza che vi appassionerà anche se non siete avvezzi a certe sonorità.